Ecco dei
brevi spunti tratto dal libro "Padre Ricco Padre Povero" di Robert T. Kiyosaki.
Una storia
che consiglio a tutti di leggere per mettere in atto un cambio di prospettiva.
…Uno dei
motivi per cui i ricchi diventano ancor più ricchi e i poveri più poveri,
mentre il ceto medio continua a indebitarsi, dipende dal fatto che non si
insegna la materia del denaro a scuola, ma a casa. La stragrande maggioranza
della gente riceve i primi rudimenti finanziari dai genitori. Cosa può dire un
genitore povero a suo figlio? Di solito, gli consiglia: «Non abbandonare la
scuola e studia molto». Il ragazzo potrebbe anche laurearsi con ottimi voti, ma
avrà sempre una mentalità economica da persona indigente, quella che ha appreso
da piccolo. A scuola non
esiste una materia definita “denaro”. I programmi scolastici vertono sull’erudizione
personale e sulle abilità professionali, non sui concetti finanziari. Ciò spiega
perché perfino banchieri, medici e ragionieri brillanti, con buoni voti
scolastici, possano trascinarsi in difficoltà economiche per tutta la vita. Il
nostro spaventoso debito nazionale è dovuto in gran parte all’opera di politici
e funzionari governativi intelligenti e istruiti che assumono decisioni
finanziarie senza aver mai seguito corsi di economia monetaria.
...Dal momento
che ho avuto due padri molto influenti, ho imparato da entrambi. Ho dovuto
riflettere sui consigli di ciascuno e, così facendo, ho capito quali sono la
forza e l’effetto dei pensieri sulla vita che si conduce. Per esempio, uno di
loro era solito dirmi: «Non me lo posso permettere». L’altro mi proibiva
addirittura di usare quella frase; preferiva che dicessi: «Come posso
permettermelo?» Il primo formulava un’affermazione, il secondo insisteva
affinché mi ponessi una domanda. Da una parte mi si lasciava nei guai,
dall’altra mi si obbligava a meditare. Il padre che sarebbe presto diventato
ricco mi spiegava che la frase “non me lo posso permettere” comporta
l’automatica cessazione del funzionamento cerebrale. Con la domanda alternativa
(“Come posso permettermelo?”) si mette all’opera il cervello. Con ciò, non
intendeva sostenere che potessi comprarmi tutto quello che volevo. Era solo un
fanatico dell’esercizio della mente, il più potente computer che vi sia al
mondo. «La mia mente si rafforza ogni giorno, perché la tengo in allenamento.
Più diventa forte e più denaro posso accumulare», soleva dire. Secondo lui, ritenere
meccanicamente di non “potersi permettere una cosa” equivaleva a dare segno di
pigrizia mentale. Sebbene
entrambi lavorassero di gran lena, notavo che uno di loro, quando si trattava di
denaro, aveva l’abitudine di smettere di far funzionare il cervello, mentre
l’altro lo esercitava sempre. A lungo termine, ne conseguì che un padre si è rafforzato a livello finanziario e l’altro si è indebolito. Più o meno quello
che succede a chi si reca regolarmente in palestra rispetto a chi preferisce
restare sul divano del salotto a guardare la TV: una sana esercitazione fisica
corrobora la salute. Del pari, un adeguato lavorìo mentale consolida le
possibilità di arricchimento. La pigrizia danneggia la salute e la tasca.
I miei due
padri adottavano atteggiamenti mentali contrapposti. Uno riteneva che i ricchi
dovessero pagare più tasse affinché anche i meno fortunati avessero una buona assistenza
sanitaria. L’altro ringhiava: «Le tasse puniscono chi produce e premiano chi non
produce».
Un padre si
raccomandava: «Studia molto, così troverai una buona azienda che vorrà assumerti».
L’altro padre mi diceva: «Studia sodo, così potrai trovare un’ottima azienda da
comprare».
Uno
dichiarava: «Non sono ricco perché ho voi sulle spalle, figli miei», l’altro
affermava: «Il motivo per cui devo essere ricco siete voi, cari figliuoli». Il primo
escludeva l’argomento del denaro e degli affari dalle discussioni serali
attorno alla tavola, mentre mangiavamo, il secondo invece le incoraggiava. Uno diceva:
«Quando si tratta di soldi, fate attenzione, non rischiate»; l’altro proclamava:
«Imparate a gestire il rischio».
Uno credeva
fermamente che «la casa in cui viviamo è il nostro più grande investimento, il
bene maggiore di cui disponiamo»; il secondo diceva: «La mia casa è un passivo;
se la vostra casa è l’investimento maggiore che avete fatto, siete in un mare
di guai».
Tutti e due
pagavano tasse e bollette entro la scadenza, però uno le saldava come prima
cosa, l’altro come ultima cosa. Uno credeva
che un’azienda, o lo Stato, si sarebbero presi cura di noi e dei nostri bisogni.
Si interessava sempre agli aumenti di paga, ai piani pensionistici, agli accantonamenti
per l’assistenza sanitaria, alle indennità per malattia, ai giorni di ferie e alle
altre gratifiche accessorie. Era impressionato da due suoi zii che si erano
arruolati nell’esercito e avevano potuto andare in pensione, con il pacchetto
completo di diritti per tutta la vita, dopo appena vent’anni di servizio. Gli
piaceva l’idea dell’assistenza sanitaria e dei privilegi dello spaccio militare
che l’esercito estendeva ai suoi pensionati. Inoltre, apprezzava gli incarichi
di ruolo del sistema universitario. A volte, l’idea dei benefici professionali
e della protezione lavorativa per tutta l’esistenza sembrava più importante dell’occupazione
in sé. Spesso mi diceva: «Ho lavorato duro per lo Stato e ho diritto a tutti
questi privilegi». L’altro
credeva nella totale autonomia finanziaria. Inveiva contro la mentalità dei “diritti”,
specie perché essa stava creando individui deboli ed economicamente bisognosi. La sua
simpatia era per la competenza finanziaria. Un padre
faticava a risparmiare qualche dollaro al mese, l’altro creava investimenti. Uno mi
insegnava a scrivere un curriculum vitae con tutti i crismi di modo che potessi
trovare un buon lavoro. L’altro mi insegnava a redigere piani finanziari e
commerciali così da creare nuovi posti di lavoro.
Essendo il
prodotto di due forti mentalità paterne, ho avuto l’onore di osservare le conseguenze
che produce sulla vita un modo di pensare tanto divergente. In realtà, le persone
si creano un’esistenza che corrisponde a come la immaginano.
Per esempio,
il padre povero mi ripeteva: «Non sarò mai ricco», e quella profezia si è avverata.
Per contro, il padre ricco faceva sempre riferimento a se stesso come persona abbiente.
Soleva dire: «Io sono ricco e chi è ricco non fa così». Perfino quando si
ritrovò al verde a causa di una grave crisi finanziaria, continuava a
considerarsi ricco. Si schermiva affermando: «C’è differenza tra essere poveri
ed essere al verde: “povero” è per l’eternità, “al verde” è una situazione
temporanea».
Il padre
povero diceva anche: «I soldi non mi interessano», oppure: «I soldi non contano
niente». Il padre ricco diceva sempre: «Il denaro è potere».
Il potere
mentale è difficilmente misurabile ma, fin da ragazzo, sapevo quanto fosse importante
prestare attenzione ai pensieri che nutrivo e alla maniera in cui li esprimevo.
Mi rendevo
conto che il padre era povero non a causa della quantità di denaro che guadagnava,
che non era affatto trascurabile, ma a causa dei suoi pensieri e delle sue azioni.
Da giovane, avendo due padri, mi sono accorto subito dell’importanza fondamentale
dei pensieri da privilegiare. Chi avrei dovuto ascoltare: il padre ricco o quello
povero?
Quantunque
tenessero entrambi in gran considerazione la cultura e l’istruzione, i miei due
punti di riferimento non concordavano su ciò che fosse essenziale imparare. Uno
mi incitava ad applicarmi nello studio, a diplomarmi e laurearmi, che poi avrei
rimediato un lavoro con un buon salario. Voleva che studiassi per diventare un
professionista (avvocato, commercialista o dottore in scienze economiche).
L’altro mi spronava a studiare per essere ricco, per capire come funziona il
denaro e imparare a farlo lavorare per me. «Io non lavoro per i soldi!» era un
frase che ribadiva in continuazione. «Sono i soldi a lavorare a per me!»
...Il denaro è
una forma di potere. Ciononostante, ancor più potente è l’istruzione finanziaria.
I soldi vanno e vengono, ma chi è istruito sulla loro gestione riesce a dominarli
e può cominciare ad arricchirsi. La ragione per cui il pensiero positivo, da
solo, non funziona, dipende dal fatto che molte persone sono andate a scuola ma
non hanno mai appreso come agisce il denaro, sicché sprecano la vita a lavorare
per i soldi.
….In quel
momento, mio padre..si fermò e disse: «Ragazzi, siete poveri solo se
rinunciate. La cosa più importante è che avete fatto qualcosa. La maggior parte
della gente si limita a parlare, sognando di diventare ricca. Voi vi siete
attivati. Sono molto fiero di voi due. Lo ripeto: continuate così, non lasciate
nulla di intentato».
…«Perché?
Insegnare significa forse parlare o tenere un discorso?», replicò. «Sì, proprio
così».
«Ma così ti
insegnano a scuola», precisò ridendo. «Non è come insegna a fare la vita che,
secondo me, è la miglior maestra. La vita reale non ti rivolge quasi mai la
parola, più che altro ti pungola, ti sballotta. Ogni botta è la vita che dice:
“Sveglia, c’è qualcosa che desidero insegnarti”».…«Se imparerai le lezioni che
ti dà la vita, te la caverai bene. In caso negativo, la vita continuerà a
punzecchiarti. La gente si comporta in due modi: alcuni lasciano che l’esistenza
li sballotti a lungo, altri reagiscono e le restituiscono i colpi. Ma li
infliggono al loro capufficio, al lavoro o al coniuge. Non sanno che è sempre
la vita ad agire»….«La vita ci spinge tutti. Qualcuno rinuncia, qualcun altro
combatte. Alcuni imparano la lezione e progrediscono; accettano che l’esistenza
li spinga, che talora li colpisca. Questi pochi comprendono che hanno bisogno
di imparare qualcosa. Si impegnano, imparano e fanno progressi. La maggior
parte rinuncia, alza la bandiera bianca. Altri, come te, lottano»... «Se
capisci questo insegnamento, diventerai un giovanotto saggio, ricco e felice.
Altrimenti, passerai la vita a maledire la tua occupazione, il tuo salario da
fame, il capufficio o caporeparto, incolpandoli per i tuoi problemi. Inoltre,
spererai continuamente che ti capiti un’occasione fortunata con cui risolvere i
problemi finanziari»…Lui continuò: «Vi è un’altra possibilità; potresti essere
uno di quelli senza coraggio, gli individui che abbandonano il campo ogni volta
che la vita li pungola. Se sei fatto così, vivrai sempre cercando di metterti
al sicuro, di coprirti le spalle, di fare le cose giuste risparmiandoti per un
evento che non accadrà mai. Alla fine, morirai vecchio e annoiato. Anche se
avrai un sacco di amici fedeli che ripeteranno quanto sei stato onesto e lavoratore.
Avrai vissuto un’esistenza tranquilla a eseguire le cose giuste. Ma la verità è
che la vita ti avrà sottomesso. Nel profondo del cuore, rischiare ti
terrorizzava. Avresti voluto vincere, ma la paura di perdere sarà stata
maggiore dell’eccitazione che ti avrebbe dato la vittoria. Dentro di te, solo
tu saprai che non ci hai nemmeno provato. Avevi deciso di giocare
sul sicuro».
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