mercoledì 10 febbraio 2016

Padre Ricco Padre Povero

Ecco dei brevi spunti tratto dal libro "Padre Ricco Padre Povero" di Robert T. Kiyosaki.
Una storia che consiglio a tutti di leggere per mettere in atto un cambio di prospettiva.

…Uno dei motivi per cui i ricchi diventano ancor più ricchi e i poveri più poveri, mentre il ceto medio continua a indebitarsi, dipende dal fatto che non si insegna la materia del denaro a scuola, ma a casa. La stragrande maggioranza della gente riceve i primi rudimenti finanziari dai genitori. Cosa può dire un genitore povero a suo figlio? Di solito, gli consiglia: «Non abbandonare la scuola e studia molto». Il ragazzo potrebbe anche laurearsi con ottimi voti, ma avrà sempre una mentalità economica da persona indigente, quella che ha appreso da piccolo. A scuola non esiste una materia definita “denaro”. I programmi scolastici vertono sull’erudizione personale e sulle abilità professionali, non sui concetti finanziari. Ciò spiega perché perfino banchieri, medici e ragionieri brillanti, con buoni voti scolastici, possano trascinarsi in difficoltà economiche per tutta la vita. Il nostro spaventoso debito nazionale è dovuto in gran parte all’opera di politici e funzionari governativi intelligenti e istruiti che assumono decisioni finanziarie senza aver mai seguito corsi di economia monetaria.

...Dal momento che ho avuto due padri molto influenti, ho imparato da entrambi. Ho dovuto riflettere sui consigli di ciascuno e, così facendo, ho capito quali sono la forza e l’effetto dei pensieri sulla vita che si conduce. Per esempio, uno di loro era solito dirmi: «Non me lo posso permettere». L’altro mi proibiva addirittura di usare quella frase; preferiva che dicessi: «Come posso permettermelo?» Il primo formulava un’affermazione, il secondo insisteva affinché mi ponessi una domanda. Da una parte mi si lasciava nei guai, dall’altra mi si obbligava a meditare. Il padre che sarebbe presto diventato ricco mi spiegava che la frase “non me lo posso permettere” comporta l’automatica cessazione del funzionamento cerebrale. Con la domanda alternativa (“Come posso permettermelo?”) si mette all’opera il cervello. Con ciò, non intendeva sostenere che potessi comprarmi tutto quello che volevo. Era solo un fanatico dell’esercizio della mente, il più potente computer che vi sia al mondo. «La mia mente si rafforza ogni giorno, perché la tengo in allenamento. Più diventa forte e più denaro posso accumulare», soleva dire. Secondo lui, ritenere meccanicamente di non “potersi permettere una cosa” equivaleva a dare segno di pigrizia mentale. Sebbene entrambi lavorassero di gran lena, notavo che uno di loro, quando si trattava di denaro, aveva l’abitudine di smettere di far funzionare il cervello, mentre l’altro lo esercitava sempre. A lungo termine, ne conseguì che un padre si è rafforzato a livello finanziario e l’altro si è indebolito. Più o meno quello che succede a chi si reca regolarmente in palestra rispetto a chi preferisce restare sul divano del salotto a guardare la TV: una sana esercitazione fisica corrobora la salute. Del pari, un adeguato lavorìo mentale consolida le possibilità di arricchimento. La pigrizia danneggia la salute e la tasca.
I miei due padri adottavano atteggiamenti mentali contrapposti. Uno riteneva che i ricchi dovessero pagare più tasse affinché anche i meno fortunati avessero una buona assistenza sanitaria. L’altro ringhiava: «Le tasse puniscono chi produce e premiano chi non produce».
Un padre si raccomandava: «Studia molto, così troverai una buona azienda che vorrà assumerti». L’altro padre mi diceva: «Studia sodo, così potrai trovare un’ottima azienda da comprare».
Uno dichiarava: «Non sono ricco perché ho voi sulle spalle, figli miei», l’altro affermava: «Il motivo per cui devo essere ricco siete voi, cari figliuoli». Il primo escludeva l’argomento del denaro e degli affari dalle discussioni serali attorno alla tavola, mentre mangiavamo, il secondo invece le incoraggiava. Uno diceva: «Quando si tratta di soldi, fate attenzione, non rischiate»; l’altro proclamava: «Imparate a gestire il rischio».
Uno credeva fermamente che «la casa in cui viviamo è il nostro più grande investimento, il bene maggiore di cui disponiamo»; il secondo diceva: «La mia casa è un passivo; se la vostra casa è l’investimento maggiore che avete fatto, siete in un mare di guai».
Tutti e due pagavano tasse e bollette entro la scadenza, però uno le saldava come prima cosa, l’altro come ultima cosa. Uno credeva che un’azienda, o lo Stato, si sarebbero presi cura di noi e dei nostri bisogni. Si interessava sempre agli aumenti di paga, ai piani pensionistici, agli accantonamenti per l’assistenza sanitaria, alle indennità per malattia, ai giorni di ferie e alle altre gratifiche accessorie. Era impressionato da due suoi zii che si erano arruolati nell’esercito e avevano potuto andare in pensione, con il pacchetto completo di diritti per tutta la vita, dopo appena vent’anni di servizio. Gli piaceva l’idea dell’assistenza sanitaria e dei privilegi dello spaccio militare che l’esercito estendeva ai suoi pensionati. Inoltre, apprezzava gli incarichi di ruolo del sistema universitario. A volte, l’idea dei benefici professionali e della protezione lavorativa per tutta l’esistenza sembrava più importante dell’occupazione in sé. Spesso mi diceva: «Ho lavorato duro per lo Stato e ho diritto a tutti questi privilegi». L’altro credeva nella totale autonomia finanziaria. Inveiva contro la mentalità dei “diritti”, specie perché essa stava creando individui deboli ed economicamente bisognosi. La sua simpatia era per la competenza finanziaria. Un padre faticava a risparmiare qualche dollaro al mese, l’altro creava investimenti. Uno mi insegnava a scrivere un curriculum vitae con tutti i crismi di modo che potessi trovare un buon lavoro. L’altro mi insegnava a redigere piani finanziari e commerciali così da creare nuovi posti di lavoro.
Essendo il prodotto di due forti mentalità paterne, ho avuto l’onore di osservare le conseguenze che produce sulla vita un modo di pensare tanto divergente. In realtà, le persone si creano un’esistenza che corrisponde a come la immaginano.
Per esempio, il padre povero mi ripeteva: «Non sarò mai ricco», e quella profezia si è avverata. Per contro, il padre ricco faceva sempre riferimento a se stesso come persona abbiente. Soleva dire: «Io sono ricco e chi è ricco non fa così». Perfino quando si ritrovò al verde a causa di una grave crisi finanziaria, continuava a considerarsi ricco. Si schermiva affermando: «C’è differenza tra essere poveri ed essere al verde: “povero” è per l’eternità, “al verde” è una situazione temporanea».
Il padre povero diceva anche: «I soldi non mi interessano», oppure: «I soldi non contano niente». Il padre ricco diceva sempre: «Il denaro è potere».
Il potere mentale è difficilmente misurabile ma, fin da ragazzo, sapevo quanto fosse importante prestare attenzione ai pensieri che nutrivo e alla maniera in cui li esprimevo.
Mi rendevo conto che il padre era povero non a causa della quantità di denaro che guadagnava, che non era affatto trascurabile, ma a causa dei suoi pensieri e delle sue azioni. Da giovane, avendo due padri, mi sono accorto subito dell’importanza fondamentale dei pensieri da privilegiare. Chi avrei dovuto ascoltare: il padre ricco o quello povero?
Quantunque tenessero entrambi in gran considerazione la cultura e l’istruzione, i miei due punti di riferimento non concordavano su ciò che fosse essenziale imparare. Uno mi incitava ad applicarmi nello studio, a diplomarmi e laurearmi, che poi avrei rimediato un lavoro con un buon salario. Voleva che studiassi per diventare un professionista (avvocato, commercialista o dottore in scienze economiche). L’altro mi spronava a studiare per essere ricco, per capire come funziona il denaro e imparare a farlo lavorare per me. «Io non lavoro per i soldi!» era un frase che ribadiva in continuazione. «Sono i soldi a lavorare a per me!»

...Il denaro è una forma di potere. Ciononostante, ancor più potente è l’istruzione finanziaria. I soldi vanno e vengono, ma chi è istruito sulla loro gestione riesce a dominarli e può cominciare ad arricchirsi. La ragione per cui il pensiero positivo, da solo, non funziona, dipende dal fatto che molte persone sono andate a scuola ma non hanno mai appreso come agisce il denaro, sicché sprecano la vita a lavorare per i soldi.


….In quel momento, mio padre..si fermò e disse: «Ragazzi, siete poveri solo se rinunciate. La cosa più importante è che avete fatto qualcosa. La maggior parte della gente si limita a parlare, sognando di diventare ricca. Voi vi siete attivati. Sono molto fiero di voi due. Lo ripeto: continuate così, non lasciate nulla di intentato».

…«Perché? Insegnare significa forse parlare o tenere un discorso?», replicò. «Sì, proprio così».
«Ma così ti insegnano a scuola», precisò ridendo. «Non è come insegna a fare la vita che, secondo me, è la miglior maestra. La vita reale non ti rivolge quasi mai la parola, più che altro ti pungola, ti sballotta. Ogni botta è la vita che dice: “Sveglia, c’è qualcosa che desidero insegnarti”».…«Se imparerai le lezioni che ti dà la vita, te la caverai bene. In caso negativo, la vita continuerà a punzecchiarti. La gente si comporta in due modi: alcuni lasciano che l’esistenza li sballotti a lungo, altri reagiscono e le restituiscono i colpi. Ma li infliggono al loro capufficio, al lavoro o al coniuge. Non sanno che è sempre la vita ad agire»….«La vita ci spinge tutti. Qualcuno rinuncia, qualcun altro combatte. Alcuni imparano la lezione e progrediscono; accettano che l’esistenza li spinga, che talora li colpisca. Questi pochi comprendono che hanno bisogno di imparare qualcosa. Si impegnano, imparano e fanno progressi. La maggior parte rinuncia, alza la bandiera bianca. Altri, come te, lottano»... «Se capisci questo insegnamento, diventerai un giovanotto saggio, ricco e felice. Altrimenti, passerai la vita a maledire la tua occupazione, il tuo salario da fame, il capufficio o caporeparto, incolpandoli per i tuoi problemi. Inoltre, spererai continuamente che ti capiti un’occasione fortunata con cui risolvere i problemi finanziari»…Lui continuò: «Vi è un’altra possibilità; potresti essere uno di quelli senza coraggio, gli individui che abbandonano il campo ogni volta che la vita li pungola. Se sei fatto così, vivrai sempre cercando di metterti al sicuro, di coprirti le spalle, di fare le cose giuste risparmiandoti per un evento che non accadrà mai. Alla fine, morirai vecchio e annoiato. Anche se avrai un sacco di amici fedeli che ripeteranno quanto sei stato onesto e lavoratore. Avrai vissuto un’esistenza tranquilla a eseguire le cose giuste. Ma la verità è che la vita ti avrà sottomesso. Nel profondo del cuore, rischiare ti terrorizzava. Avresti voluto vincere, ma la paura di perdere sarà stata maggiore dell’eccitazione che ti avrebbe dato la vittoria. Dentro di te, solo tu saprai che non ci hai nemmeno provato. Avevi deciso di giocare sul sicuro».

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