Vi posto ora il primo capitolo del
libro di Eckhart.
Buona lettura.
Il più grande ostacolo
all’Illuminazione
Che cos’è l’illuminazione?
Un mendicante se ne stava seduto sul
ciglio di una strada da più di trent’anni. Un giorno un tale gli passò accanto.
“Hai qualche spicciolo?” mormorò il
mendicante, tendendo meccanicamente il suo berretto da baseball.
“Non ho niente da darti” rispose lo
sconosciuto. Poi chiese: “Su che cosa sei seduto?”.
“Non è niente” rispose il mendicante,
“solo una vecchia scatola. Ci sono seduto sopra da sempre.”
“Non hai mai guardato dentro?” chiese
lo sconosciuto.
“No” rispose il mendicante. “A che
pro? Tanto non c’è niente dentro.”
“Dacci un’occhiata” insistette lo
sconosciuto.
Il mendicante riuscì a sollevare il
coperchio e con meraviglia, incredulità e gioia vide che la scatola era piena
d’oro.
Ecco, io sono quello sconosciuto che
non ha niente da darti e che ti sprona a guardare dentro. Non in una scatola,
come in questa parabola, ma in un posto molto più vicino: dentro di te.
“Ma io non sono un mendicante” ti sento
ribattere.
Coloro che non hanno ancora trovato la
vera ricchezza, che è la gioia radiosa dell’Essere e la profonda pace
incrollabile che ne deriva, sono mendicanti, anche se possiedono una grande
ricchezza materiale. Cercano all’esterno brandelli di piacere o appagamento,
conferme, sicurezza o amore, quando dentro di loro possiedono un tesoro che non
solo comprende tutte queste cose, ma è infinitamente più grande di qualsiasi
opportunità possa offrire il mondo.
La parola “illuminazione” evoca
un’impresa sovrumana e all’ego piace pensare che sia così, ma essa rappresenta
semplicemente lo stato naturale dell’unione percepita con l’Essere. È una
condizione di connessione con qualcosa di incommensurabile e indistruttibile,
che quasi paradossalmente coincide con la tua essenza ma è anche molto più
grande di te. Significa scoprire la tua vera natura al di là del nome e della
forma. L’incapacità di avvertire questa comunione dà origine all’illusione
della separazione da te stesso e dal mondo circostante. A livello consapevole o
inconsapevole, ti percepisci come un
frammento isolato dal resto. Nasce la paura, e i conflitti dentro e fuori di te
diventano la normalità. Mi piace molto la semplice definizione di illuminazione
che dà il Budda:
“La fine della sofferenza.” Non c’è
niente di sovrumano in questo, vero? Naturalmente come definizione è incompleta
perché ti dice solo che cosa non è l’illuminazione. Ma che cosa resta quando
non c’è più sofferenza? Il Budda tace in proposito, e ciò significa che devi
trovare da solo la risposta a questa domanda. Egli usa una definizione negativa
affinché la mente non possa
trasformarla in un credo o in una impresa sovrumana, un obiettivo impossibile
da raggiungere. Ciononostante la maggior parte dei buddisti ritiene che l’illuminazione
attenga solo al Budda e non a loro, almeno in questa vita.
Hai usato il termine Essere. Puoi
spiegarmi cosa intendi?
L’Essere è la Vita eterna e
onnipresente al di là delle numerose forme di vita soggette a nascita e morte.
Tuttavia l’Essere non solo è al di là ma è anche profondamente intrinseco a
ogni forma di vita in quanto sua intima essenza invisibile e indistruttibile.
Ciò significa che è sempre accessibile, perché si tratta del profondo sé di
ognuno, della
tua vera natura. Ma non cercare di
coglierlo con la mente. Non cercare di capirlo razionalmente. Puoi conoscerlo
solo quando la mente è tranquilla. Quando sei presente, quando la tua
attenzione è completamente e intensamente focalizzata sull’Adesso, l’Essere può
venire percepito, ma mai compreso razionalmente. L’illuminazione consiste nella
riconquista della consapevolezza dell’Essere e nel dimorare in quello stato di
“comprensione intuitiva”.
Quando parli di Essere, ti riferisci a
Dio? Se è così, allora perché non lo dici chiaramente?
La parola “Dio” si è svuotata di ogni
significato a causa di secoli di uso improprio. A volte la utilizzo, ma con
estrema parsimonia. Per uso improprio intendo l’impiego che ne fanno quelle
persone che non hanno mai nemmeno intravisto il regno sacro, l’infinita vastità
che sta dietro a questa parola, eppure la usano con grande convinzione, come se
sapessero quello che dicono. Oppure parlano a sfavore di Dio, come se sapessero
quello che stanno negando. Questo cattivo utilizzo della parola “Dio” ha fatto
sorgere credenze e affermazioni assurde, oltre all’illusione dell’ego, il tutto
espresso da frasi come: “Il mio o il nostro Dio è il solo e vero Dio, il tuo è
falso” oppure la famosa affermazione di Nietzsche: “Dio è morto.”
La parola “Dio” è diventata un concetto
limitato. Quando la pronunciamo, attingiamo a una immagine mentale, non più
forse a quella di un vecchio con la barba bianca, ma pur sempre a una
rappresentazione di qualcuno o qualcosa al di fuori di noi, inevitabilmente di genere
maschile.
Né “Dio” né “Essere” né qualsiasi
altra parola può definire o cogliere la realtà ineffabile che sta dietro al
termine, perciò non resta che chiedersi se tale parola sia un aiuto o un
ostacolo nel consentirci di fare esperienza di ciò che indica. Si spinge oltre
se stessa fino a designare quella realtà trascendente, oppure si presta fin
troppo facilmente a diventare niente più che un’idea nella tua testa nella
quale credi, un idolo della mente?
La parola “Essere” non spiega niente,
ma nemmeno la parola “Dio”. Essere, tuttavia, ha il vantaggio di esprimere un
concetto aperto. Non riduce l’invisibile infinito a una entità finita e
limitata. È impossibile formarsene una immagine mentale. Nessuno può
rivendicare un possesso esclusivo dell’Essere. È la tua stessa essenza ed è
immediatamente
accessibile in quanto sensazione della
propria presenza, comprensione di quell’“Io sono” anteriore alla definizione
“io sono questo” o “io sono quello”. Quindi c’è solo una brevissima distanza
tra la parola Essere e l’esperienza dell’Essere.
Qual è il più grande ostacolo
all’esperienza di questa realtà? L’identificazione con la mente, che rende
compulsivo il pensiero. Non essere in grado di smettere di pensare è un male
terribile, ma non ce ne rendiamo conto perché quasi tutti ne soffriamo, quindi
è considerato normale. Questo incessante brusio mentale ci impedisce di trovare
quella
dimensione di quiete interiore
inseparabile dall’Essere. Esso crea anche una falsa identità mentale che getta
un’ombra di paura e sofferenza.
Il filosofo Cartesio ritenne di aver
scoperto la verità fondamentale quando pronunciò la sua famosa affermazione:
“Penso dunque sono.” In realtà, diede voce all’errore più elementare, ovvero
alla coincidenza del pensiero con l’Essere e dell’identità con il pensiero, il
che significa, praticamente, che ciascuno di noi vive in uno stato di
separazione, in un
mondo assurdamente complesso, pieno di
problemi e conflitti continui, un mondo che riflette la sempre crescente
frammentazione della mente. L’illuminazione è uno stato di totalità, di unità e
quindi di pace. Il mondo è tutt’uno con la vita nel suo aspetto manifestato ed
è tutt’uno anche con il tuo sé più profondo e Non Manifestato: è tutt’uno con
l’Essere. L’illuminazione non solo è la fine della sofferenza e del conflitto
continuo dentro e fuori, ma è anche la conclusione della terribile schiavitù
del pensiero che non dà requie. Quale incredibile liberazione!
L’identificazione con la mente crea
uno schermo opaco fatto di concetti, etichette, immagini, giudizi e definizioni
che blocca ogni vero rapporto interpersonale. Si frappone tra te e la tua
interiorità, tra te e il prossimo, tra te e la natura, tra te e Dio. È questo
schermo di pensieri che genera l’illusione della separazione tra te e un
“altro” completamente disgiunto da te. Allora dimentichi il fatto essenziale
che sotto l’apparenza fisica e le forme separate, sei tutt’uno con ciò che
esiste. Per “dimenticare” intendo che non percepisci più questa unità come
realtà evidente. Puoi credere
che sia vera, ma non ne sei pienamente
consapevole. Credere nell’unità può darti conforto, ma solo sperimentandola
essa diventa liberatoria. Pensare è diventato una malattia. La malattia si
sviluppa quando c’è uno squilibrio. Per esempio, non c’è niente di male nel
fatto che le cellule si dividano e si moltiplichino nel corpo, ma quando questo
processo avviene a prescindere dall’organismo nel suo insieme, allora questa
proliferazione dà origine alla malattia.
Nota: la mente è uno strumento
eccezionale se usata nel modo giusto. Ma se viene utilizzata impropriamente,
diventa pericolosa e distruttiva. Per essere più precisi, non si tratta tanto
di usare la mente in modo sbagliato, ma di non usarla affatto. È lei a usare
te. Questa è la malattia. Tu credi di essere la tua mente, ma invece è lo
strumento a prendere il sopravvento sul suo utilizzatore.
Non sono del tutto d’accordo. È vero
che faccio tanti pensieri inutili, come la maggior parte delle persone, ma posso
ancora scegliere di usare la mente per ottenere qualcosa o per portarlo a
termine, e lo faccio in continuazione.
Solo perché riesci a completare un
cruciverba o a costruire una bomba atomica non significa che tu stia usando la
mente. Proprio come i cani amano rosicchiare gli ossi, la mente adora affondare
i denti nei problemi. Ecco perché fa i cruciverba e costruisce le bombe
atomiche. Non hai voce in capitolo in nessuna delle tue cose. Permettimi di
farti una
domanda: sai liberarti della tua mente
quando vuoi? Hai scoperto il pulsante per spegnerla? Intendi smettere di pensare
del tutto? No, non riesco. Tranne forse per un minuto o due. Allora è la mente
che ti sta usando. Inconsapevolmente ti identifichi con essa, perciò non sai
nemmeno di essere suo schiavo. È come se fossi posseduto
senza saperlo, perciò scambi l’entità
che ti possiede con te stesso. Nel momento in cui inizi a osservare la parte di
te che pensa, si attiva un livello superiore di consapevolezza. Allora
comprendi che esiste un vasto regno di intelligenza oltre il pensiero e che
quest’ultimo ne è solo un aspetto minore. Comprendi anche che le cose che
contano davvero
(la bellezza, l’amore, la creatività,
la gioia, la pace interiore) sorgono al di là della mente. E inizi a
risvegliarti.
LIBERATI DALLA MENTE
Che cosa intendi esattamente con
“osservare la parte di te che pensa”?
Se uno va dal medico e gli dice che
sente una voce nella testa, questi presumibilmente
gli consiglierà uno psichiatra. Il fatto è che, in modo molto simile,
praticamente tutti noi sentiamo una voce, o più di una, nella testa, continuamente:
si tratta del processo del pensiero, e tu hai il potere di interromperlo, anche
se non lo sai. Si tratta di monologhi o
dialoghi continui. Magari ti sarà
capitato di incontrare per strada persone che parlano o borbottano tra sé e sé.
Be’ non è molto diverso da quello che tu e tutte le altre persone “normali”
fate, tranne che voi non lo fate ad alta voce.
Quella voce commenta, riflette,
giudica, confronta, si lamenta, esprime piacere o dispiacere e così via. Non è
necessariamente pertinente alla situazione che stai vivendo, per esempio
potrebbe rivangare il passato (vicino
o lontano), oppure provare a prevedere
possibili situazioni future.
In questo caso, spesso la voce
immagina che le cose vadano male e che si verifichino risvolti negativi; allora
i pensieri diventano preoccupazioni. A volte questa colonna sonora è
accompagnata da immagini o da “film mentali”. Anche se la voce è pertinente
alla situazione che stai vivendo, l’interpretazione si basa sul passato. Questo
perché la voce appartiene alla tua mente condizionata che, a sua volta, è un
prodotto di tutta la tua storia trascorsa e del modo di pensare culturale e
collettivo che hai ereditato. Così vedi e giudichi il presente con gli occhi
del passato e ne hai
una visione completamente distorta.
Spesso questa voce è il nostro peggior nemico. Molte persone convivono con un
tormentatore nella loro testa che le attacca e le punisce continuamente,
privandole dell’energia vitale e causando loro infelicità e tristezza, nonché
malattie. La buona notizia è che puoi liberarti dalla mente. Questa è la vera e
sola liberazione. Puoi fare il primo passo in questa direzione proprio ora,
iniziando ad ascoltare quella voce tutte le volte che puoi. In particolar modo,
presta attenzione a eventuali schemi di pensiero ricorrenti, a quei vecchi
dischi da grammofono che ti suonano in testa da anni. È questo che intendo per
“osservare la parte di te che pensa”, il che è un altro modo per dire: ascolta
la voce nella tua testa, sii presente come testimone. Ascoltala con imparzialità,
non giudicarla. Non esprimere giudizi o condanne per ciò che senti, perché
farlo significherebbe far rientrare quella voce dalla porta di servizio.
Realizzerai presto come fare: lì c’è la voce, e qui l’“Io sono” in ascolto, in
osservazione. Questa realizzazione dell’“Io sono”, la percezione della tua
stessa presenza, non è un pensiero. Sorge al di là della mente. Perciò, quando
ascolti un pensiero, non solo sei consapevole di quel pensiero ma anche di te
stesso in quanto testimone e
osservatore. Subentra una nuova dimensione di consapevolezza. Mentre ascolti il
pensiero, avverti una presenza consapevole (il tuo sé profondo) come se fosse
al di sotto o dietro di lei. Allora il pensiero perde il suo potere su di te e presto
si acquieta, perché non stai più trasmettendo energia alla mente attraverso la
tua identificazione con essa. Questo è l’inizio e la fine del pensiero
involontario e compulsivo.
Quando un pensiero si placa,
sperimenti una soluzione di continuità nel flusso mentale, un intervallo “senza
mente”. All’inizio gli intervalli sono brevi, magari di qualche secondo, ma
gradualmente si allungano. Quando si verificano, provi una certa quiete e pace
dentro di te. Questo è l’inizio del tuo stato naturale di unione con l’Essere,
generalmente oscurato dalla mente. Con la pratica, questa sensazione di pace e
quiete si intensifica. Infatti, non c’è fine alla sua profondità. Avvertirai
anche una sottile emanazione di gioia sorgere dal profondo: la gioia
dell’Essere.
Non è come trovarsi in uno stato di trance.
Nient’affatto. Non c’è nessuna perdita di consapevolezza qui. Casomai il
contrario. Se il prezzo per la pace fosse un indebolimento della
consapevolezza, e il prezzo per la quiete una mancanza di vitalità e prontezza,
allora non varrebbe la pena di averle. In questo stato di connessione
interiore, sei molto più allerta, molto più sveglio di quando ti identifichi
con la mente. Sei pienamente presente. Questo stato fa innalzare anche la
frequenza di vibrazione del campo energetico che dà vita al corpo fisico.
Scendendo sempre più in profondità in
questo regno “senza mente”, realizzi lo stato di pura consapevolezza. In esso,
avverti la tua presenza con una tale intensità e con una tale gioia che, in
confronto, tutti i pensieri, le emozioni, il corpo fisico e il mondo esterno
diventano insignificanti. Non si tratta però di uno stato egoistico, bensì
disinteressato. Ti porta al di là di quello che ritenevi essere il “tuo sé”.
Quella presenza sei tu, eppure allo stesso tempo è qualcosa di
inconcepibilmente più grande di te. Ciò che sto cercando di esprimere in queste
righe potrebbe sembrare assurdo o persino contraddittorio, ma non esiste un
altro modo per dirlo. Invece di “osservare la parte di te che pensa”, puoi
creare un intervallo nel flusso mentale anche semplicemente convogliando la tua
attenzione sull’Adesso, diventando intensamente consapevole dell’istante
presente. Farlo dà una certa soddisfazione. È un modo, questo, per distogliere
la tua consapevolezza dall’attività
mentale e creare un intervallo “senza mente” nel quale sei fortemente presente
e consapevole di non pensare. Questa è l’essenza della meditazione.
Nella vita quotidiana, puoi
esercitarti prendendo un’attività abituale che solitamente rappresenta solo un
mezzo per un fine dedicandole piena attenzione, affinché diventi essa stessa un
fine. Per esempio, tutte le volte che sali e scendi le scale di casa o in
ufficio, fai molta attenzione a ogni gradino, a ogni movimento, persino al tuo
respiro. Sii totalmente presente. Oppure, quando ti lavi le mani, fai caso a
tutte le sensazioni associate a questa attività: il suono e la sensazione
dell’acqua, il movimento delle mani, il profumo del sapone e così via. Oppure,
quando Sali in macchina, dopo aver chiuso la portiera, fermati per qualche
secondo e osserva il flusso del tuo respiro. Diventa consapevole del senso
della tua presenza, silenzioso ma potente. C’è un solo criterio con cui
misurare la tua riuscita in questa pratica: il livello di pace che senti dentro
di te. Pertanto, il passo più importante nel viaggio verso l’illuminazione è
questo: imparare a non identificarsi con la propria mente. Tutte le volte che crei
un intervallo nel flusso mentale, la luce della tua consapevolezza si rafforza.
Un giorno potresti sorprenderti a
sorridere alla voce nella tua testa, esattamente come faresti davanti ai
capricci di un bambino. Ciò significa che non prenderai più tanto sul serio il
contenuto della tua mente, dal momento che la tua percezione del sé non dipende
da essa.
ILLUMINAZIONE:ELEVARSI AL DI SOPRA DEL
PENSIERO
Il pensiero non è fondamentale per
sopravvivere in questo mondo?
La tua mente è uno strumento, un
attrezzo. Serve a un compito specifico, e una volta completato, deve essere
deposta. In verità, direi che all’80/90 per cento, i pensieri della maggior
parte delle persone non solo sono ripetitivi e inutili, ma a causa della loro
natura disfunzionale e spesso negativa, sono anche dannosi. Osserva la tua
mente e scoprirai quanto sia vero. È causa di una grave perdita di energia
vitale. Questo tipo di pensiero compulsivo è a tutti gli effetti una
dipendenza. Qual è il tratto distintivo della dipendenza? Non sentire più di
poter scegliere di smettere. Sembra che sia più forte di te. Ti dà anche una falsa
sensazione di piacere, che inevitabilmente si trasforma in dolore.
Perché dovrei essere dipendente dal
pensiero? Perché ti identifichi con esso, il che significa che attingi il senso
della tua identità dal contenuto e dall’attività della mente. Credi che
smetteresti di esistere se cessassi di pensare.
Crescendo, ti formi un’immagine
mentale di chi sei, basandoti sul tuo condizionamento personale e culturale.
Possiamo chiamare questo sé fantasma “ego”. Esso consiste dell’attività mentale
ed esiste solo in virtù di un costante pensare. Il termine “ego” significa cose
diverse a seconda delle persone, ma qui intendo un falso sé generato da una
inconsapevole identificazione con la mente.
Per l’ego, il presente quasi non
esiste; ritiene importanti solo il passato e il futuro. Questo totale
rovesciamento della realtà dipende dal fatto che la mente è ritenuta
disfunzionale. Si preoccupa costantemente di mantenere vivo il passato: senza
di esso chi sei tu? L’ego si proietta costantemente verso il futuro per
assicurarsi la sopravvivenza e per cercare un qualche tipo di liberazione o
appagamento. Dice: “Un giorno, quando accadrà questo, quello o quell’altra cosa
ancora, starò bene, sarò felice, troverò pace.” Anche quando l’ego sembra
interessato al momento attuale,
in verità non è il presente che vede.
Lo fraintende completamente, perché lo guarda con gli occhi del passato. Oppure
lo riduce a un mezzo per un fine, un fine che sta sempre nel futuro proiettato
dalla mente.
Osserva la tua mente e scoprirai che
funziona proprio così.
Il presente racchiude la chiave per la
liberazione, ma non puoi riconoscerlo finché sei la tua mente. Non voglio
perdere la mia capacità di analizzare e discernere. Non mi dispiacerebbe
imparare a pensare con maggior lucidità, in modo più focalizzato, ma non voglio
perdere le mie abilità mentali. Il dono del pensiero è la cosa più preziosa che
abbiamo. Senza di esso, saremmo solo un’altra specie animale.
Il predominio della mente non è altro
che una fase nel processo evolutivo della consapevolezza. Ora dobbiamo
procedere con la fase successiva, altrimenti saremo distrutti dalla mente, che
è un mostro. Ne parlerò più approfonditamente in seguito. Pensiero e
consapevolezza non sono sinonimi. Il primo è solo un aspetto minore della
seconda. Il pensiero non può esistere senza consapevolezza, invece quest’ultima
non ha bisogno del pensiero.
L’illuminazione consiste nel
sollevarsi al di sopra del pensiero, senza ricadere a un livello inferiore,
come quello di un animale o di un vegetale. Nello stato illuminato, continui a
usare la mente pensante all’occorrenza,
ma in un modo molto più focalizzato ed
efficace di prima. Te ne servi soprattutto per fini pratici, ma sei libero dal
dialogo interiore involontario, e dentro di te c’è quiete. Quando hai davvero
bisogno di usare la mente, specialmente quando ti serve una soluzione creativa,
oscilli ogni pochi minuti tra pensiero e quiete, mente e assenza di mente.
L’assenza di mente è la consapevolezza senza pensiero. Solo così è possibile
pensare creativamente, perché solo così il pensiero non ha alcun reale potere. Il
pensiero da solo, scollegato dal più vasto regno della consapevolezza,
diventa rapidamente sterile, folle,
distruttivo.
In fondo la mente è una macchina per
la sopravvivenza. Attacca le altre menti e si difende da esse, raccoglie,
immagazzina e analizza le informazioni: è brava a farlo, ma non si tratta
affatto di operazioni creative. Tutti i veri artisti, che lo sappiano o meno,
creano in assenza della mente, a partire dalla quiete interiore. È allora che
la mente dà forma all’impulso o all’intuizione creativa. Persino i più grandi
scienziati hanno affermato che le loro scoperte sono avvenute in un momento di
pace mentale. L’esito sorprendente di una indagine condotta negli Stati Uniti
tra i più eminenti matematici (tra cui Einstein) per scoprire il loro metodo di
lavoro fu che il pensiero “gioca solo un ruolo marginale nella breve fase
decisiva dell’atto creativo stesso”1. Quindi direi che la maggioranza degli
scienziati non è creativa non perché non sappia come pensare, ma perché non sa come
smettere di farlo!
Non è in virtù della mente, del
pensiero, che è avvenuto il miracolo della vita sulla Terra, o la creazione del
corpo, o il loro attuale sostentamento. È evidente che ci sia una intelligenza
all’opera molto più grande della mente. Com’è possibile che una singola cellula
umana delle dimensioni di qualche centesimo di millimetro contenga nel suo DNA
istruzioni che riempirebbero mille volumi di seicento pagine ciascuno? Quante più
cose apprendiamo sul funzionamento del corpo, tanto più ci rendiamo conto di
quanto sia vasta l’intelligenza che opera al suo interno
e quanto poco ne sappiamo. Quando la
mente si ricongiunge con essa, diventa uno strumento meraviglioso. Allora si
mette al servizio di qualcosa di più grande di lei.
1. Arthur Koestler, The Ghost in the
Machine. London, Arkana, 1989, p. 180.
EMOZIONE: LA REAZIONE DEL CORPO ALLA
MENTE
E che dire delle emozioni? Ci rimango
intrappolato molto più spesso che nella mente.
La mente, come la considero io, non si
limita al pensiero, ma comprende anche le emozioni, così come tutti gli schemi
reattivi mentali ed emotivi inconsapevoli. L’emozione sorge laddove corpo e
mente si incontrano.
È la reazione fisica alla mente,
oppure potremmo dire che rappresenta il riflesso della tua mente nel corpo. Per
esempio, un pensiero ostile o di attacco crea un accumulo di energia che
chiamiamo rabbia. Il corpo si prepara a combattere. Al pensiero di essere
minacciato, fisicamente o psicologicamente, il corpo si contrae, e questa è la
manifestazione di ciò che chiamiamo paura. La ricerca ha dimostrato che le
emozioni forti causano delle alterazioni nell’equilibrio biochimico del corpo,
che rappresentano l’aspetto fisico o materiale dell’emozione. Ovviamente, di
solito non sei conscio di tutti i tuoi
schemi di pensiero, e spesso è solo attraverso l’osservazione delle tue
emozioni che riesci a farle rientrare nella consapevolezza.
Più ti identifichi con il pensiero,
con ciò che ti piace e con ciò che non ti piace, con i giudizi e le
interpretazioni (vale a dire meno sei presente in quanto consapevolezza
osservatrice), più forte è il carico energetico emotivo, che tu ne sia
consapevole o meno. Se non riesci a sentire le tue emozioni, se ne sei tagliato
fuori, finirai col sperimentarle a un livello puramente corporeo, sotto forma
di problema fisico o sintomo. In anni recenti, sono stati versati fiumi
d’inchiostro sull’argomento perciò non
è il caso di approfondirlo in questa sede. Un forte schema emotivo inconsapevole
può manifestarsi persino come evento esterno che sembra accadere per caso. Per
esempio, ho notato che le persone che si portano dentro tanta collera, senza
esserne consapevoli e senza esprimerla, sono più soggette a essere attaccate,
sia verbalmente che fisicamente, da altri individui arrabbiati, e spesso senza
motivo apparente. Emanano rabbia e c’è chi la avverte a livello subliminale
innescando così la sua rabbia latente.
Se fai fatica a provare emozioni,
inizia focalizzando la tua attenzione sul campo interiore di energia del corpo.
Percepisci il tuo corpo dall’interno. Ciò ti metterà in contatto con le tue
sensazioni.
Dici che un’emozione è il riflesso
della mente sul corpo. Ma a volte le due sono in conflitto: la mente dice “no”
mentre l’emozione dice “sì”, o
viceversa.
Se vuoi conoscere la tua mente, basta
prestare attenzione al corpo, che te ne dà un riflesso veritiero, quindi
osserva o senti le tue emozioni. Se c’è un apparente conflitto tra mente ed
emozioni, è il pensiero che ti inganna, mentre l’emozione esprime la verità.
Non la verità ultima di ciò che sei, ma quella relativa al tuo stato mentale in
quel momento. È molto comune il conflitto tra pensieri superficiali e processi
mentali inconsapevoli. Anche se non sei ancora in grado di portare l’attività
mentale inconsapevole a livello della consapevolezza sotto forma di pensieri,
essa sarà sempre riflessa nel corpo
sotto forma di sensazioni, e di queste puoi diventarne consapevole. Osservare
un’emozione in questo modo è come ascoltare o guardare un pensiero, come ho
spiegato prima. L’unica differenza è che, mentre un pensiero si trova nella
testa, l’emozione ha una forte componente fisica, perciò viene principalmente
avvertita nel corpo. Allora puoi permetterle di esistere senza esserne
controllato. Non sei più l’emozione, sei l’osservatore, la presenza che guarda.
Se ti eserciti in questo, tutto ciò che è inconsapevole dentro di te verrà
portato alla luce della consapevolezza.
Quindi, osservare le proprie emozioni è
importante quanto osservare i pensieri?
Esatto. Prendi l’abitudine di domandarti:
“Che cosa sta succedendo dentro di me in questo momento?”. Questa domanda ti
indirizzerà verso la strada giusta. Ma non metterti ad analizzare, osserva e
basta. Focalizza l’attenzione dentro di te. Percepisci l’energia delle
emozioni. Se non ce ne sono, porta la tua attenzione più in profondità nel
campo interiore di energia del corpo. Quella è la porta d’ingresso per
l’Essere. L’emozione di solito rappresenta uno schema di pensiero amplificato e
potenziato e, a causa della sua carica energetica spesso insostenibile, all’inizio
non è facile restare “presenti” abbastanza a lungo da riuscire a osservarla.
Vuole prendere il sopravvento su di te, e il più delle volte ce la fa, a meno
che tu non sia sufficientemente presente. È normale che tu sia spinto a identificarti
inconsciamente con l’emozione per via di una mancanza di presenza; in questo
caso l’emozione diventa temporaneamente “te”. Spesso si crea un circolo vizioso
tra il pensiero e l’emozione: si alimentano a vicenda. Lo schema di pensiero
crea un riflesso amplificato di sé sotto forma di emozione, e la frequenza
energetica dell’emozione
continua ad alimentare lo schema di
pensiero originario. Soffermandosi mentalmente sulla situazione, sull’evento o
sulla persona che rappresenta la causa percepita dell’emozione, il pensiero
fornisce energia all’emozione, che a sua volta la riflette allo schema di
pensiero e così via. Fondamentalmente, tutte le emozioni sono varianti di
un’unica emozione primordiale e indifferenziata che sorge dalla perdita di consapevolezza
di ciò che sei al di là del nome e della forma. Per via della sua natura indifferenziata,
è difficile trovare un termine che descriva con precisione questa emozione.
“Paura” ci va vicino, ma a parte una costante sensazione di minaccia, essa comprende
anche un profondo senso di solitudine e incompletezza. Forse è meglio usare un
termine altrettanto indifferenziato proprio come quella protoemozione e
chiamarla semplicemente “dolore”. Uno dei compiti principali della mente è
combattere o rimuovere quella sofferenza emotiva, ed è una delle ragioni della
sua incessante attività, ma tutto quello che riesce a fare è tenerla
temporaneamente nascosta. Infatti, più la mente si sforza di sbarazzarsene, più
il dolore cresce. La mente non potrà mai trovare la soluzione, né può
permettere a noi di farlo, perché è essa stessa parte del “problema”. È come se
fosse un capo della polizia che cerca di scovare un piromane quando si tratta proprio
del capo della polizia. Non ti libererai mai dalla sofferenza finché non smetti
di attingere il senso della tua identità dall’identificazione con la mente,
ovvero dall’ego. Solo allora la mente verrà detronizzata e l’Essere si rivelerà
come la tua vera essenza.
Che dire invece delle emozioni
positive come l’amore e la gioia?
Esse sono inseparabili dal tuo
naturale stato di connessione interiore con l’Essere. Istanti di amore e gioia
o brevi momenti di profonda pace sono possibili quando si creano degli
intervalli nel flusso dei pensieri. Per la maggior parte delle persone, queste
pause si presentano di rado e solo per caso, quando la mente resta “senza
parole”. A volte, questi momenti sono innescati da uno spettacolo di grande
bellezza, da un estremo sforzo fisico o persino da un grande pericolo.
Improvvisamente c’è quiete interiore. E in essa si avverte una profonda
sensazione di gioia,
amore e pace.
Solitamente sono intervalli di breve
durata, perché la mente riprende in fretta la sua rumorosa attività chiamata
pensiero. Amore, gioia e pace non possono sbocciare finché non ti liberi dal
dominio della mente. Ma non le chiamerei emozioni. Esse vanno oltre e
appartengono a un livello molto più profondo. Devi diventare pienamente
consapevole delle tue emozioni e riuscire a sentirle prima di poter percepire
ciò che sta al di là di esse. Emozione significa letteralmente “sconvolgimento”
e deriva dal latino emovere, che significa “sconvolgere”.
Amore, gioia e pace sono profondi
stati dell’Essere, o piuttosto tre aspetti dello stato di connessione interiore
con l’Essere. In quanto tali, non hanno dei contrari perché sorgono al di là
della mente. Le emozioni, invece, essendo parte della mente dualistica, sono
soggette alla legge dei contrari. Ciò significa solo che non può esserci il
bene senza il
male. Così, nella condizione non illuminata
dell’identificazione con la mente, ciò che a volte viene erroneamente chiamato
gioia corrisponde all’aspetto piacevole, solitamente di breve durata, del ciclo
alternato e continuo di dolore e piacere. Quest’ultimo viene sempre attinto
dall’esterno, mentre la gioia nasce da dentro. Ciò che ti dà piacere oggi ti
farà soffrire domani, oppure ti abbandonerà, e la sua assenza sarà causa di dolore.
Ciò che spesso viene chiamato amore può essere piacevole ed eccitante per un
po’, ma è un attaccamento che causa dipendenza, una condizione di estremo
bisogno che può facilmente trasformarsi nel suo contrario. Molte relazioni
“d’amore”, dopo l’euforia dei primi tempi, in verità oscillano tra “amore” e
odio, attrazione e attacco.
Il vero amore non ti fa soffrire. Come
potrebbe? Non si trasforma improvvisamente in odio, così come la gioia
autentica non si trasforma repentinamente in dolore. Come ho detto in
precedenza, anche prima di raggiungere l’illuminazione (prima di esserti
liberato dalla mente), puoi intravedere la vera gioia, l’amore puro o la
profonda pace interiore, palpitanti di vita eppure sereni. Questi sono aspetti
della tua natura autentica, solitamente oscurata dalla mente. Anche in una
“normale” relazione di dipendenza possono verificarsi momenti in cui si avverte
la presenza
di qualcosa di più genuino, di
incorruttibile. Ma si tratta solo di attimi fugaci subito offuscati
dall’interferenza della mente. Allora ti potrà sembrare di avere avuto qualcosa
di molto prezioso e di averlo perso, oppure la mente potrebbe convincerti che
si è trattato solo di un’illusione. La verità è che non è stata un’illusione e
che tu non puoi perdere quella cosa preziosa. Essa fa parte del tuo stato
naturale, che può essere oscurato ma mai distrutto dalla mente. Anche quando il
cielo è pesantemente coperto, il sole non è sparito. È ancora lì, dall’altra
parte delle nuvole.
Budda dice che il dolore o la
sofferenza nascono dal desiderio o dalla bramosia e che per liberarcene
dobbiamo
tagliare i lacci che ci legano al
desiderio. Il desiderio coincide con la mente che cerca salvezza o appagamento
nelle cose esteriori e nel futuro,
come sostituti della gioia dell’Essere.
Fintanto che mi identifico con la mia
mente, divento questi desideri, questi bisogni, mancanze, attaccamenti e avversioni.
Al di là di essi non c’è nessun “Io” se non come pura possibilità, potenziale
inespresso, seme che non è ancora germogliato. In questa condizione, persino il
mio desiderio di affrancamento o di illuminazione non è altro che una ulteriore
brama di appagamento o completamento nel futuro. Perciò non cercare di
liberarti dal desiderio o di “raggiungere” l’illuminazione. Sii presente. Diventa
osservatore della mente. Invece di citare Budda, sii il Budda, sii
“il risvegliato”, che è il significato
della parola “budda”.
Gli esseri umani si trovano nella
morsa del dolore da millenni. Da quando sono decaduti dallo stato di grazia,
sono entrati nella dimensione del tempo e della mente e hanno perduto la
consapevolezza dell’Essere. A quel punto hanno iniziato a percepire se stessi
come insignificanti frammenti in un universo alieno, disgiunti dalla Fonte e
gli uni dagli altri. Il dolore è inevitabile fintanto che ti identifichi con la
mente, fintanto che sei inconsapevole, in senso spirituale. Mi riferisco principalmente
alla sofferenza emotiva, che è anche la causa maggiore del dolore fisico e della
malattia. Risentimento, odio, autocommiserazione, senso di colpa, rabbia,
depressione, gelosia eccetera, persino la più lieve irritazione sono tutte
forme di dolore. E ogni piacere o esaltazione emotiva contiene in sé il germe
della sofferenza, il suo contrario inseparabile, che si manifesterà a tempo
debito.
Chiunque abbia assunto delle droghe
per andare su di giri sa che l’euforia prima o poi si trasforma in depressione,
che il piacere diventa una forma di dolore. Inoltre molte persone sanno per
esperienza con quanta facilità e velocità una relazione intima possa
trasformarsi da fonte di piacere in fonte di dolore. Viste da una prospettiva
più elevata, entrambe le polarità negativa e positiva sono facce della stessa
medaglia, fanno parte entrambe del dolore intrinseco allo stato di coscienza
egoico di identificazione con la mente. Esistono due livelli di dolore: quello
che tu crei adesso, e quello che deriva dal passato e continua a vivere nella
mente e nel corpo.
Anime belle qui, ora e adesso.
In e con amore.
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