lunedì 26 gennaio 2015

Il potere di Adesso di Eckhart Tolle

Vi posto ora il primo capitolo del libro di Eckhart.
Buona lettura.


Il più grande ostacolo all’Illuminazione
Che cos’è l’illuminazione?
Un mendicante se ne stava seduto sul ciglio di una strada da più di trent’anni. Un giorno un tale gli passò accanto.
“Hai qualche spicciolo?” mormorò il mendicante, tendendo meccanicamente il suo berretto da baseball.
“Non ho niente da darti” rispose lo sconosciuto. Poi chiese: “Su che cosa sei seduto?”.
“Non è niente” rispose il mendicante, “solo una vecchia scatola. Ci sono seduto sopra da sempre.”
“Non hai mai guardato dentro?” chiese lo sconosciuto.
“No” rispose il mendicante. “A che pro? Tanto non c’è niente dentro.”
“Dacci un’occhiata” insistette lo sconosciuto.
Il mendicante riuscì a sollevare il coperchio e con meraviglia, incredulità e gioia vide che la scatola era piena d’oro.
Ecco, io sono quello sconosciuto che non ha niente da darti e che ti sprona a guardare dentro. Non in una scatola, come in questa parabola, ma in un posto molto più vicino: dentro di te.
“Ma io non sono un mendicante” ti sento ribattere.
Coloro che non hanno ancora trovato la vera ricchezza, che è la gioia radiosa dell’Essere e la profonda pace incrollabile che ne deriva, sono mendicanti, anche se possiedono una grande ricchezza materiale. Cercano all’esterno brandelli di piacere o appagamento, conferme, sicurezza o amore, quando dentro di loro possiedono un tesoro che non solo comprende tutte queste cose, ma è infinitamente più grande di qualsiasi opportunità possa offrire il mondo.
La parola “illuminazione” evoca un’impresa sovrumana e all’ego piace pensare che sia così, ma essa rappresenta semplicemente lo stato naturale dell’unione percepita con l’Essere. È una condizione di connessione con qualcosa di incommensurabile e indistruttibile, che quasi paradossalmente coincide con la tua essenza ma è anche molto più grande di te. Significa scoprire la tua vera natura al di là del nome e della forma. L’incapacità di avvertire questa comunione dà origine all’illusione della separazione da te stesso e dal mondo circostante. A livello consapevole o
inconsapevole, ti percepisci come un frammento isolato dal resto. Nasce la paura, e i conflitti dentro e fuori di te diventano la normalità. Mi piace molto la semplice definizione di illuminazione che dà il Budda:
“La fine della sofferenza.” Non c’è niente di sovrumano in questo, vero? Naturalmente come definizione è incompleta perché ti dice solo che cosa non è l’illuminazione. Ma che cosa resta quando non c’è più sofferenza? Il Budda tace in proposito, e ciò significa che devi trovare da solo la risposta a questa domanda. Egli usa una definizione negativa
affinché la mente non possa trasformarla in un credo o in una impresa sovrumana, un obiettivo impossibile da raggiungere. Ciononostante la maggior parte dei buddisti ritiene che l’illuminazione attenga solo al Budda e non a loro, almeno in questa vita.
Hai usato il termine Essere. Puoi spiegarmi cosa intendi?
L’Essere è la Vita eterna e onnipresente al di là delle numerose forme di vita soggette a nascita e morte. Tuttavia l’Essere non solo è al di là ma è anche profondamente intrinseco a ogni forma di vita in quanto sua intima essenza invisibile e indistruttibile. Ciò significa che è sempre accessibile, perché si tratta del profondo sé di ognuno, della
tua vera natura. Ma non cercare di coglierlo con la mente. Non cercare di capirlo razionalmente. Puoi conoscerlo solo quando la mente è tranquilla. Quando sei presente, quando la tua attenzione è completamente e intensamente focalizzata sull’Adesso, l’Essere può venire percepito, ma mai compreso razionalmente. L’illuminazione consiste nella riconquista della consapevolezza dell’Essere e nel dimorare in quello stato di “comprensione intuitiva”.
Quando parli di Essere, ti riferisci a Dio? Se è così, allora perché non lo dici chiaramente?
La parola “Dio” si è svuotata di ogni significato a causa di secoli di uso improprio. A volte la utilizzo, ma con estrema parsimonia. Per uso improprio intendo l’impiego che ne fanno quelle persone che non hanno mai nemmeno intravisto il regno sacro, l’infinita vastità che sta dietro a questa parola, eppure la usano con grande convinzione, come se sapessero quello che dicono. Oppure parlano a sfavore di Dio, come se sapessero quello che stanno negando. Questo cattivo utilizzo della parola “Dio” ha fatto sorgere credenze e affermazioni assurde, oltre all’illusione dell’ego, il tutto espresso da frasi come: “Il mio o il nostro Dio è il solo e vero Dio, il tuo è falso” oppure la famosa affermazione di Nietzsche: “Dio è morto.”
La parola “Dio” è diventata un concetto limitato. Quando la pronunciamo, attingiamo a una immagine mentale, non più forse a quella di un vecchio con la barba bianca, ma pur sempre a una rappresentazione di qualcuno o qualcosa al di fuori di noi, inevitabilmente di genere maschile.
Né “Dio” né “Essere” né qualsiasi altra parola può definire o cogliere la realtà ineffabile che sta dietro al termine, perciò non resta che chiedersi se tale parola sia un aiuto o un ostacolo nel consentirci di fare esperienza di ciò che indica. Si spinge oltre se stessa fino a designare quella realtà trascendente, oppure si presta fin troppo facilmente a diventare niente più che un’idea nella tua testa nella quale credi, un idolo della mente?
La parola “Essere” non spiega niente, ma nemmeno la parola “Dio”. Essere, tuttavia, ha il vantaggio di esprimere un concetto aperto. Non riduce l’invisibile infinito a una entità finita e limitata. È impossibile formarsene una immagine mentale. Nessuno può rivendicare un possesso esclusivo dell’Essere. È la tua stessa essenza ed è immediatamente
accessibile in quanto sensazione della propria presenza, comprensione di quell’“Io sono” anteriore alla definizione “io sono questo” o “io sono quello”. Quindi c’è solo una brevissima distanza tra la parola Essere e l’esperienza dell’Essere.
Qual è il più grande ostacolo all’esperienza di questa realtà? L’identificazione con la mente, che rende compulsivo il pensiero. Non essere in grado di smettere di pensare è un male terribile, ma non ce ne rendiamo conto perché quasi tutti ne soffriamo, quindi è considerato normale. Questo incessante brusio mentale ci impedisce di trovare quella
dimensione di quiete interiore inseparabile dall’Essere. Esso crea anche una falsa identità mentale che getta un’ombra di paura e sofferenza.
Il filosofo Cartesio ritenne di aver scoperto la verità fondamentale quando pronunciò la sua famosa affermazione: “Penso dunque sono.” In realtà, diede voce all’errore più elementare, ovvero alla coincidenza del pensiero con l’Essere e dell’identità con il pensiero, il che significa, praticamente, che ciascuno di noi vive in uno stato di separazione, in un
mondo assurdamente complesso, pieno di problemi e conflitti continui, un mondo che riflette la sempre crescente frammentazione della mente. L’illuminazione è uno stato di totalità, di unità e quindi di pace. Il mondo è tutt’uno con la vita nel suo aspetto manifestato ed è tutt’uno anche con il tuo sé più profondo e Non Manifestato: è tutt’uno con l’Essere. L’illuminazione non solo è la fine della sofferenza e del conflitto continuo dentro e fuori, ma è anche la conclusione della terribile schiavitù del pensiero che non dà requie. Quale incredibile liberazione!
L’identificazione con la mente crea uno schermo opaco fatto di concetti, etichette, immagini, giudizi e definizioni che blocca ogni vero rapporto interpersonale. Si frappone tra te e la tua interiorità, tra te e il prossimo, tra te e la natura, tra te e Dio. È questo schermo di pensieri che genera l’illusione della separazione tra te e un “altro” completamente disgiunto da te. Allora dimentichi il fatto essenziale che sotto l’apparenza fisica e le forme separate, sei tutt’uno con ciò che esiste. Per “dimenticare” intendo che non percepisci più questa unità come realtà evidente. Puoi credere
che sia vera, ma non ne sei pienamente consapevole. Credere nell’unità può darti conforto, ma solo sperimentandola essa diventa liberatoria. Pensare è diventato una malattia. La malattia si sviluppa quando c’è uno squilibrio. Per esempio, non c’è niente di male nel fatto che le cellule si dividano e si moltiplichino nel corpo, ma quando questo processo avviene a prescindere dall’organismo nel suo insieme, allora questa proliferazione dà origine alla malattia.
Nota: la mente è uno strumento eccezionale se usata nel modo giusto. Ma se viene utilizzata impropriamente, diventa pericolosa e distruttiva. Per essere più precisi, non si tratta tanto di usare la mente in modo sbagliato, ma di non usarla affatto. È lei a usare te. Questa è la malattia. Tu credi di essere la tua mente, ma invece è lo strumento a prendere il sopravvento sul suo utilizzatore.
Non sono del tutto d’accordo. È vero che faccio tanti pensieri inutili, come la maggior parte delle persone, ma posso ancora scegliere di usare la mente per ottenere qualcosa o per portarlo a termine, e lo faccio in continuazione.
Solo perché riesci a completare un cruciverba o a costruire una bomba atomica non significa che tu stia usando la mente. Proprio come i cani amano rosicchiare gli ossi, la mente adora affondare i denti nei problemi. Ecco perché fa i cruciverba e costruisce le bombe atomiche. Non hai voce in capitolo in nessuna delle tue cose. Permettimi di farti una
domanda: sai liberarti della tua mente quando vuoi? Hai scoperto il pulsante per spegnerla? Intendi smettere di pensare del tutto? No, non riesco. Tranne forse per un minuto o due. Allora è la mente che ti sta usando. Inconsapevolmente ti identifichi con essa, perciò non sai nemmeno di essere suo schiavo. È come se fossi posseduto
senza saperlo, perciò scambi l’entità che ti possiede con te stesso. Nel momento in cui inizi a osservare la parte di te che pensa, si attiva un livello superiore di consapevolezza. Allora comprendi che esiste un vasto regno di intelligenza oltre il pensiero e che quest’ultimo ne è solo un aspetto minore. Comprendi anche che le cose che contano davvero
(la bellezza, l’amore, la creatività, la gioia, la pace interiore) sorgono al di là della mente. E inizi a risvegliarti.

LIBERATI DALLA MENTE
Che cosa intendi esattamente con “osservare la parte di te che pensa”?
Se uno va dal medico e gli dice che sente una voce nella testa, questi  presumibilmente gli consiglierà uno psichiatra. Il fatto è che, in modo molto simile, praticamente tutti noi sentiamo una voce, o più di una, nella testa, continuamente: si tratta del processo del pensiero, e tu hai il potere di interromperlo, anche se non lo sai. Si tratta di monologhi o
dialoghi continui. Magari ti sarà capitato di incontrare per strada persone che parlano o borbottano tra sé e sé. Be’ non è molto diverso da quello che tu e tutte le altre persone “normali” fate, tranne che voi non lo fate ad alta voce.
Quella voce commenta, riflette, giudica, confronta, si lamenta, esprime piacere o dispiacere e così via. Non è necessariamente pertinente alla situazione che stai vivendo, per esempio potrebbe rivangare il passato (vicino
o lontano), oppure provare a prevedere possibili situazioni future.
In questo caso, spesso la voce immagina che le cose vadano male e che si verifichino risvolti negativi; allora i pensieri diventano preoccupazioni. A volte questa colonna sonora è accompagnata da immagini o da “film mentali”. Anche se la voce è pertinente alla situazione che stai vivendo, l’interpretazione si basa sul passato. Questo perché la voce appartiene alla tua mente condizionata che, a sua volta, è un prodotto di tutta la tua storia trascorsa e del modo di pensare culturale e collettivo che hai ereditato. Così vedi e giudichi il presente con gli occhi del passato e ne hai
una visione completamente distorta. Spesso questa voce è il nostro peggior nemico. Molte persone convivono con un tormentatore nella loro testa che le attacca e le punisce continuamente, privandole dell’energia vitale e causando loro infelicità e tristezza, nonché malattie. La buona notizia è che puoi liberarti dalla mente. Questa è la vera e sola liberazione. Puoi fare il primo passo in questa direzione proprio ora, iniziando ad ascoltare quella voce tutte le volte che puoi. In particolar modo, presta attenzione a eventuali schemi di pensiero ricorrenti, a quei vecchi dischi da grammofono che ti suonano in testa da anni. È questo che intendo per “osservare la parte di te che pensa”, il che è un altro modo per dire: ascolta la voce nella tua testa, sii presente come testimone. Ascoltala con imparzialità, non giudicarla. Non esprimere giudizi o condanne per ciò che senti, perché farlo significherebbe far rientrare quella voce dalla porta di servizio. Realizzerai presto come fare: lì c’è la voce, e qui l’“Io sono” in ascolto, in osservazione. Questa realizzazione dell’“Io sono”, la percezione della tua stessa presenza, non è un pensiero. Sorge al di là della mente. Perciò, quando ascolti un pensiero, non solo sei consapevole di quel pensiero ma anche di te stesso in quanto  testimone e osservatore. Subentra una nuova dimensione di consapevolezza. Mentre ascolti il pensiero, avverti una presenza consapevole (il tuo sé profondo) come se fosse al di sotto o dietro di lei. Allora il pensiero perde il suo potere su di te e presto si acquieta, perché non stai più trasmettendo energia alla mente attraverso la tua identificazione con essa. Questo è l’inizio e la fine del pensiero involontario e compulsivo.
Quando un pensiero si placa, sperimenti una soluzione di continuità nel flusso mentale, un intervallo “senza mente”. All’inizio gli intervalli sono brevi, magari di qualche secondo, ma gradualmente si allungano. Quando si verificano, provi una certa quiete e pace dentro di te. Questo è l’inizio del tuo stato naturale di unione con l’Essere, generalmente oscurato dalla mente. Con la pratica, questa sensazione di pace e quiete si intensifica. Infatti, non c’è fine alla sua profondità. Avvertirai anche una sottile emanazione di gioia sorgere dal profondo: la gioia dell’Essere.
Non è come trovarsi in uno stato di trance. Nient’affatto. Non c’è nessuna perdita di consapevolezza qui. Casomai il contrario. Se il prezzo per la pace fosse un indebolimento della consapevolezza, e il prezzo per la quiete una mancanza di vitalità e prontezza, allora non varrebbe la pena di averle. In questo stato di connessione interiore, sei molto più allerta, molto più sveglio di quando ti identifichi con la mente. Sei pienamente presente. Questo stato fa innalzare anche la frequenza di vibrazione del campo energetico che dà vita al corpo fisico.
Scendendo sempre più in profondità in questo regno “senza mente”, realizzi lo stato di pura consapevolezza. In esso, avverti la tua presenza con una tale intensità e con una tale gioia che, in confronto, tutti i pensieri, le emozioni, il corpo fisico e il mondo esterno diventano insignificanti. Non si tratta però di uno stato egoistico, bensì disinteressato. Ti porta al di là di quello che ritenevi essere il “tuo sé”. Quella presenza sei tu, eppure allo stesso tempo è qualcosa di inconcepibilmente più grande di te. Ciò che sto cercando di esprimere in queste righe potrebbe sembrare assurdo o persino contraddittorio, ma non esiste un altro modo per dirlo. Invece di “osservare la parte di te che pensa”, puoi creare un intervallo nel flusso mentale anche semplicemente convogliando la tua attenzione sull’Adesso, diventando intensamente consapevole dell’istante presente. Farlo dà una certa soddisfazione. È un modo, questo, per distogliere
la tua consapevolezza dall’attività mentale e creare un intervallo “senza mente” nel quale sei fortemente presente e consapevole di non pensare. Questa è l’essenza della meditazione.
Nella vita quotidiana, puoi esercitarti prendendo un’attività abituale che solitamente rappresenta solo un mezzo per un fine dedicandole piena attenzione, affinché diventi essa stessa un fine. Per esempio, tutte le volte che sali e scendi le scale di casa o in ufficio, fai molta attenzione a ogni gradino, a ogni movimento, persino al tuo respiro. Sii totalmente presente. Oppure, quando ti lavi le mani, fai caso a tutte le sensazioni associate a questa attività: il suono e la sensazione dell’acqua, il movimento delle mani, il profumo del sapone e così via. Oppure, quando Sali in macchina, dopo aver chiuso la portiera, fermati per qualche secondo e osserva il flusso del tuo respiro. Diventa consapevole del senso della tua presenza, silenzioso ma potente. C’è un solo criterio con cui misurare la tua riuscita in questa pratica: il livello di pace che senti dentro di te. Pertanto, il passo più importante nel viaggio verso l’illuminazione è questo: imparare a non identificarsi con la propria mente. Tutte le volte che crei un intervallo nel flusso mentale, la luce della tua consapevolezza si rafforza.
Un giorno potresti sorprenderti a sorridere alla voce nella tua testa, esattamente come faresti davanti ai capricci di un bambino. Ciò significa che non prenderai più tanto sul serio il contenuto della tua mente, dal momento che la tua percezione del sé non dipende da essa.

ILLUMINAZIONE:ELEVARSI AL DI SOPRA DEL PENSIERO
Il pensiero non è fondamentale per sopravvivere in questo mondo?
La tua mente è uno strumento, un attrezzo. Serve a un compito specifico, e una volta completato, deve essere deposta. In verità, direi che all’80/90 per cento, i pensieri della maggior parte delle persone non solo sono ripetitivi e inutili, ma a causa della loro natura disfunzionale e spesso negativa, sono anche dannosi. Osserva la tua mente e scoprirai quanto sia vero. È causa di una grave perdita di energia vitale. Questo tipo di pensiero compulsivo è a tutti gli effetti una dipendenza. Qual è il tratto distintivo della dipendenza? Non sentire più di poter scegliere di smettere. Sembra che sia più forte di te. Ti dà anche una falsa sensazione di piacere, che inevitabilmente si trasforma in dolore.
Perché dovrei essere dipendente dal pensiero? Perché ti identifichi con esso, il che significa che attingi il senso della tua identità dal contenuto e dall’attività della mente. Credi che smetteresti di esistere se cessassi di pensare.
Crescendo, ti formi un’immagine mentale di chi sei, basandoti sul tuo condizionamento personale e culturale. Possiamo chiamare questo sé fantasma “ego”. Esso consiste dell’attività mentale ed esiste solo in virtù di un costante pensare. Il termine “ego” significa cose diverse a seconda delle persone, ma qui intendo un falso sé generato da una inconsapevole identificazione con la mente.
Per l’ego, il presente quasi non esiste; ritiene importanti solo il passato e il futuro. Questo totale rovesciamento della realtà dipende dal fatto che la mente è ritenuta disfunzionale. Si preoccupa costantemente di mantenere vivo il passato: senza di esso chi sei tu? L’ego si proietta costantemente verso il futuro per assicurarsi la sopravvivenza e per cercare un qualche tipo di liberazione o appagamento. Dice: “Un giorno, quando accadrà questo, quello o quell’altra cosa ancora, starò bene, sarò felice, troverò pace.” Anche quando l’ego sembra interessato al momento attuale,
in verità non è il presente che vede. Lo fraintende completamente, perché lo guarda con gli occhi del passato. Oppure lo riduce a un mezzo per un fine, un fine che sta sempre nel futuro proiettato dalla mente.
Osserva la tua mente e scoprirai che funziona proprio così.
Il presente racchiude la chiave per la liberazione, ma non puoi riconoscerlo finché sei la tua mente. Non voglio perdere la mia capacità di analizzare e discernere. Non mi dispiacerebbe imparare a pensare con maggior lucidità, in modo più focalizzato, ma non voglio perdere le mie abilità mentali. Il dono del pensiero è la cosa più preziosa che abbiamo. Senza di esso, saremmo solo un’altra specie animale.
Il predominio della mente non è altro che una fase nel processo evolutivo della consapevolezza. Ora dobbiamo procedere con la fase successiva, altrimenti saremo distrutti dalla mente, che è un mostro. Ne parlerò più approfonditamente in seguito. Pensiero e consapevolezza non sono sinonimi. Il primo è solo un aspetto minore della seconda. Il pensiero non può esistere senza consapevolezza, invece quest’ultima non ha bisogno del pensiero.
L’illuminazione consiste nel sollevarsi al di sopra del pensiero, senza ricadere a un livello inferiore, come quello di un animale o di un vegetale. Nello stato illuminato, continui a usare la mente pensante all’occorrenza,
ma in un modo molto più focalizzato ed efficace di prima. Te ne servi soprattutto per fini pratici, ma sei libero dal dialogo interiore involontario, e dentro di te c’è quiete. Quando hai davvero bisogno di usare la mente, specialmente quando ti serve una soluzione creativa, oscilli ogni pochi minuti tra pensiero e quiete, mente e assenza di mente. L’assenza di mente è la consapevolezza senza pensiero. Solo così è possibile pensare creativamente, perché solo così il pensiero non ha alcun reale potere. Il pensiero da solo, scollegato dal più vasto regno della consapevolezza,
diventa rapidamente sterile, folle, distruttivo.
In fondo la mente è una macchina per la sopravvivenza. Attacca le altre menti e si difende da esse, raccoglie, immagazzina e analizza le informazioni: è brava a farlo, ma non si tratta affatto di operazioni creative. Tutti i veri artisti, che lo sappiano o meno, creano in assenza della mente, a partire dalla quiete interiore. È allora che la mente dà forma all’impulso o all’intuizione creativa. Persino i più grandi scienziati hanno affermato che le loro scoperte sono avvenute in un momento di pace mentale. L’esito sorprendente di una indagine condotta negli Stati Uniti tra i più eminenti matematici (tra cui Einstein) per scoprire il loro metodo di lavoro fu che il pensiero “gioca solo un ruolo marginale nella breve fase decisiva dell’atto creativo stesso”1. Quindi direi che la maggioranza degli scienziati non è creativa non perché non sappia come pensare, ma perché non sa come smettere di farlo!
Non è in virtù della mente, del pensiero, che è avvenuto il miracolo della vita sulla Terra, o la creazione del corpo, o il loro attuale sostentamento. È evidente che ci sia una intelligenza all’opera molto più grande della mente. Com’è possibile che una singola cellula umana delle dimensioni di qualche centesimo di millimetro contenga nel suo DNA istruzioni che riempirebbero mille volumi di seicento pagine ciascuno? Quante più cose apprendiamo sul funzionamento del corpo, tanto più ci rendiamo conto di quanto sia vasta l’intelligenza che opera al suo interno
e quanto poco ne sappiamo. Quando la mente si ricongiunge con essa, diventa uno strumento meraviglioso. Allora si mette al servizio di qualcosa di più grande di lei.
1. Arthur Koestler, The Ghost in the Machine. London, Arkana, 1989, p. 180.

EMOZIONE: LA REAZIONE DEL CORPO ALLA MENTE
E che dire delle emozioni? Ci rimango intrappolato molto più spesso che nella mente.
La mente, come la considero io, non si limita al pensiero, ma comprende anche le emozioni, così come tutti gli schemi reattivi mentali ed emotivi inconsapevoli. L’emozione sorge laddove corpo e mente si incontrano.
È la reazione fisica alla mente, oppure potremmo dire che rappresenta il riflesso della tua mente nel corpo. Per esempio, un pensiero ostile o di attacco crea un accumulo di energia che chiamiamo rabbia. Il corpo si prepara a combattere. Al pensiero di essere minacciato, fisicamente o psicologicamente, il corpo si contrae, e questa è la manifestazione di ciò che chiamiamo paura. La ricerca ha dimostrato che le emozioni forti causano delle alterazioni nell’equilibrio biochimico del corpo, che rappresentano l’aspetto fisico o materiale dell’emozione. Ovviamente, di
solito non sei conscio di tutti i tuoi schemi di pensiero, e spesso è solo attraverso l’osservazione delle tue emozioni che riesci a farle rientrare nella consapevolezza.
Più ti identifichi con il pensiero, con ciò che ti piace e con ciò che non ti piace, con i giudizi e le interpretazioni (vale a dire meno sei presente in quanto consapevolezza osservatrice), più forte è il carico energetico emotivo, che tu ne sia consapevole o meno. Se non riesci a sentire le tue emozioni, se ne sei tagliato fuori, finirai col sperimentarle a un livello puramente corporeo, sotto forma di problema fisico o sintomo. In anni recenti, sono stati versati fiumi
d’inchiostro sull’argomento perciò non è il caso di approfondirlo in questa sede. Un forte schema emotivo inconsapevole può manifestarsi persino come evento esterno che sembra accadere per caso. Per esempio, ho notato che le persone che si portano dentro tanta collera, senza esserne consapevoli e senza esprimerla, sono più soggette a essere attaccate, sia verbalmente che fisicamente, da altri individui arrabbiati, e spesso senza motivo apparente. Emanano rabbia e c’è chi la avverte a livello subliminale innescando così la sua rabbia latente.
Se fai fatica a provare emozioni, inizia focalizzando la tua attenzione sul campo interiore di energia del corpo. Percepisci il tuo corpo dall’interno. Ciò ti metterà in contatto con le tue sensazioni.
Dici che un’emozione è il riflesso della mente sul corpo. Ma a volte le due sono in conflitto: la mente dice “no”
mentre l’emozione dice “sì”, o viceversa.
Se vuoi conoscere la tua mente, basta prestare attenzione al corpo, che te ne dà un riflesso veritiero, quindi osserva o senti le tue emozioni. Se c’è un apparente conflitto tra mente ed emozioni, è il pensiero che ti inganna, mentre l’emozione esprime la verità. Non la verità ultima di ciò che sei, ma quella relativa al tuo stato mentale in quel momento. È molto comune il conflitto tra pensieri superficiali e processi mentali inconsapevoli. Anche se non sei ancora in grado di portare l’attività mentale inconsapevole a livello della consapevolezza sotto forma di pensieri,
essa sarà sempre riflessa nel corpo sotto forma di sensazioni, e di queste puoi diventarne consapevole. Osservare un’emozione in questo modo è come ascoltare o guardare un pensiero, come ho spiegato prima. L’unica differenza è che, mentre un pensiero si trova nella testa, l’emozione ha una forte componente fisica, perciò viene principalmente avvertita nel corpo. Allora puoi permetterle di esistere senza esserne controllato. Non sei più l’emozione, sei l’osservatore, la presenza che guarda. Se ti eserciti in questo, tutto ciò che è inconsapevole dentro di te verrà portato alla luce della consapevolezza.
Quindi, osservare le proprie emozioni è importante quanto osservare i pensieri?
Esatto. Prendi l’abitudine di domandarti: “Che cosa sta succedendo dentro di me in questo momento?”. Questa domanda ti indirizzerà verso la strada giusta. Ma non metterti ad analizzare, osserva e basta. Focalizza l’attenzione dentro di te. Percepisci l’energia delle emozioni. Se non ce ne sono, porta la tua attenzione più in profondità nel campo interiore di energia del corpo. Quella è la porta d’ingresso per l’Essere. L’emozione di solito rappresenta uno schema di pensiero amplificato e potenziato e, a causa della sua carica energetica spesso insostenibile, all’inizio non è facile restare “presenti” abbastanza a lungo da riuscire a osservarla. Vuole prendere il sopravvento su di te, e il più delle volte ce la fa, a meno che tu non sia sufficientemente presente. È normale che tu sia spinto a identificarti inconsciamente con l’emozione per via di una mancanza di presenza; in questo caso l’emozione diventa temporaneamente “te”. Spesso si crea un circolo vizioso tra il pensiero e l’emozione: si alimentano a vicenda. Lo schema di pensiero crea un riflesso amplificato di sé sotto forma di emozione, e la frequenza energetica dell’emozione
continua ad alimentare lo schema di pensiero originario. Soffermandosi mentalmente sulla situazione, sull’evento o sulla persona che rappresenta la causa percepita dell’emozione, il pensiero fornisce energia all’emozione, che a sua volta la riflette allo schema di pensiero e così via. Fondamentalmente, tutte le emozioni sono varianti di un’unica emozione primordiale e indifferenziata che sorge dalla perdita di consapevolezza di ciò che sei al di là del nome e della forma. Per via della sua natura indifferenziata, è difficile trovare un termine che descriva con precisione questa emozione. “Paura” ci va vicino, ma a parte una costante sensazione di minaccia, essa comprende anche un profondo senso di solitudine e incompletezza. Forse è meglio usare un termine altrettanto indifferenziato proprio come quella protoemozione e chiamarla semplicemente “dolore”. Uno dei compiti principali della mente è combattere o rimuovere quella sofferenza emotiva, ed è una delle ragioni della sua incessante attività, ma tutto quello che riesce a fare è tenerla temporaneamente nascosta. Infatti, più la mente si sforza di sbarazzarsene, più il dolore cresce. La mente non potrà mai trovare la soluzione, né può permettere a noi di farlo, perché è essa stessa parte del “problema”. È come se fosse un capo della polizia che cerca di scovare un piromane quando si tratta proprio del capo della polizia. Non ti libererai mai dalla sofferenza finché non smetti di attingere il senso della tua identità dall’identificazione con la mente, ovvero dall’ego. Solo allora la mente verrà detronizzata e l’Essere si rivelerà come la tua vera essenza.
Che dire invece delle emozioni positive come l’amore e la gioia?
Esse sono inseparabili dal tuo naturale stato di connessione interiore con l’Essere. Istanti di amore e gioia o brevi momenti di profonda pace sono possibili quando si creano degli intervalli nel flusso dei pensieri. Per la maggior parte delle persone, queste pause si presentano di rado e solo per caso, quando la mente resta “senza parole”. A volte, questi momenti sono innescati da uno spettacolo di grande bellezza, da un estremo sforzo fisico o persino da un grande pericolo. Improvvisamente c’è quiete interiore. E in essa si avverte una profonda sensazione di gioia,
amore e pace.
Solitamente sono intervalli di breve durata, perché la mente riprende in fretta la sua rumorosa attività chiamata pensiero. Amore, gioia e pace non possono sbocciare finché non ti liberi dal dominio della mente. Ma non le chiamerei emozioni. Esse vanno oltre e appartengono a un livello molto più profondo. Devi diventare pienamente consapevole delle tue emozioni e riuscire a sentirle prima di poter percepire ciò che sta al di là di esse. Emozione significa letteralmente “sconvolgimento” e deriva dal latino emovere, che significa “sconvolgere”.
Amore, gioia e pace sono profondi stati dell’Essere, o piuttosto tre aspetti dello stato di connessione interiore con l’Essere. In quanto tali, non hanno dei contrari perché sorgono al di là della mente. Le emozioni, invece, essendo parte della mente dualistica, sono soggette alla legge dei contrari. Ciò significa solo che non può esserci il bene senza il
male. Così, nella condizione non illuminata dell’identificazione con la mente, ciò che a volte viene erroneamente chiamato gioia corrisponde all’aspetto piacevole, solitamente di breve durata, del ciclo alternato e continuo di dolore e piacere. Quest’ultimo viene sempre attinto dall’esterno, mentre la gioia nasce da dentro. Ciò che ti dà piacere oggi ti farà soffrire domani, oppure ti abbandonerà, e la sua assenza sarà causa di dolore. Ciò che spesso viene chiamato amore può essere piacevole ed eccitante per un po’, ma è un attaccamento che causa dipendenza, una condizione di estremo bisogno che può facilmente trasformarsi nel suo contrario. Molte relazioni “d’amore”, dopo l’euforia dei primi tempi, in verità oscillano tra “amore” e odio, attrazione e attacco.
Il vero amore non ti fa soffrire. Come potrebbe? Non si trasforma improvvisamente in odio, così come la gioia autentica non si trasforma repentinamente in dolore. Come ho detto in precedenza, anche prima di raggiungere l’illuminazione (prima di esserti liberato dalla mente), puoi intravedere la vera gioia, l’amore puro o la profonda pace interiore, palpitanti di vita eppure sereni. Questi sono aspetti della tua natura autentica, solitamente oscurata dalla mente. Anche in una “normale” relazione di dipendenza possono verificarsi momenti in cui si avverte la presenza
di qualcosa di più genuino, di incorruttibile. Ma si tratta solo di attimi fugaci subito offuscati dall’interferenza della mente. Allora ti potrà sembrare di avere avuto qualcosa di molto prezioso e di averlo perso, oppure la mente potrebbe convincerti che si è trattato solo di un’illusione. La verità è che non è stata un’illusione e che tu non puoi perdere quella cosa preziosa. Essa fa parte del tuo stato naturale, che può essere oscurato ma mai distrutto dalla mente. Anche quando il cielo è pesantemente coperto, il sole non è sparito. È ancora lì, dall’altra parte delle nuvole.
Budda dice che il dolore o la sofferenza nascono dal desiderio o dalla bramosia e che per liberarcene dobbiamo
tagliare i lacci che ci legano al desiderio. Il desiderio coincide con la mente che cerca salvezza o appagamento
nelle cose esteriori e nel futuro, come sostituti della gioia dell’Essere.
Fintanto che mi identifico con la mia mente, divento questi desideri, questi bisogni, mancanze, attaccamenti e avversioni. Al di là di essi non c’è nessun “Io” se non come pura possibilità, potenziale inespresso, seme che non è ancora germogliato. In questa condizione, persino il mio desiderio di affrancamento o di illuminazione non è altro che una ulteriore brama di appagamento o completamento nel futuro. Perciò non cercare di liberarti dal desiderio o di “raggiungere” l’illuminazione. Sii presente. Diventa osservatore della mente. Invece di citare Budda, sii il Budda, sii
“il risvegliato”, che è il significato della parola “budda”.
Gli esseri umani si trovano nella morsa del dolore da millenni. Da quando sono decaduti dallo stato di grazia, sono entrati nella dimensione del tempo e della mente e hanno perduto la consapevolezza dell’Essere. A quel punto hanno iniziato a percepire se stessi come insignificanti frammenti in un universo alieno, disgiunti dalla Fonte e gli uni dagli altri. Il dolore è inevitabile fintanto che ti identifichi con la mente, fintanto che sei inconsapevole, in senso spirituale. Mi riferisco principalmente alla sofferenza emotiva, che è anche la causa maggiore del dolore fisico e della malattia. Risentimento, odio, autocommiserazione, senso di colpa, rabbia, depressione, gelosia eccetera, persino la più lieve irritazione sono tutte forme di dolore. E ogni piacere o esaltazione emotiva contiene in sé il germe della sofferenza, il suo contrario inseparabile, che si manifesterà a tempo debito.

Chiunque abbia assunto delle droghe per andare su di giri sa che l’euforia prima o poi si trasforma in depressione, che il piacere diventa una forma di dolore. Inoltre molte persone sanno per esperienza con quanta facilità e velocità una relazione intima possa trasformarsi da fonte di piacere in fonte di dolore. Viste da una prospettiva più elevata, entrambe le polarità negativa e positiva sono facce della stessa medaglia, fanno parte entrambe del dolore intrinseco allo stato di coscienza egoico di identificazione con la mente. Esistono due livelli di dolore: quello che tu crei adesso, e quello che deriva dal passato e continua a vivere nella mente e nel corpo.






Anime belle qui, ora e adesso.
In e con amore.

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